Pizza napoletana, integrale o integralisti

di Enzo Coccia

Questa mattina da Paestum, che, per due giorni, ha fatto da sfondo, come da otto anni a questa parte, a Le Strade della Mozzarella, la più grande manifestazione sulla Mozzarella di bufala Campana DOP, è partito un dibattito su “Pizza napoletana, integrale o integralisti”. Presente alla kermesse, nel prendere la parola, ho affrontato la questione da un punto di vista sociale, storico, scientifico e tecnico.

Nell’ultimo ventennio c’è stata un’autentica escalation nella vendita di prodotti biologici e integrali. Ha preso piede e si è affermata l’equazione biologico = salutare, perché naturale. Da abitudine di pochi, peraltro alquanto costosa, quella del mangiare bio si è trasformata in una vera e propria moda, soprattutto sotto la spinta di strategie di marketing aggressivo che influenzano enormemente i comportamenti collettivi.

Nel tentativo di raggiungere l’agognato traguardo di “più sani e più belli”, si sta assistendo anche al maggiore utilizzo di farine integrali, oltre a quelle alternative. Peccato che, come recita un noto proverbio, non è tutto oro quello che luccica: se da un lato il cibo integrale ha indubbiamente i suoi pro, dall’altro presenta dei contro.

La storia, poi, ci riferisce che il pizzaiolo, agli inizi del 1800, era solito impastare gli ingredienti in una madia di legno e, servendosi di un setaccio, dalla farina separava la crusca. Senza dimenticare che, circa mezzo secolo più tardi, De Boucard scriveva: <<La pizza non si trova nel vocabolario della Crusca, perché si fa col fiore […] >>.

Scientificamente parlando, invece, nei processi digestivi, le fibre favoriscono un lento assorbimento dei carboidrati. Non innalzando la glicemia e abbassando la risposta insulinica (l’insulina è secreta quando il livello di glucosio nel sangue è troppo alto. La sua funzione è quella di abbassare la glicemia mediante l’attivazione di diversi processi metabolici e cellulari), evitano di prelevare zuccheri in eccesso trasformandoli in grasso che nel tempo potrebbero causare malattie come diabete, per il grande lavoro a cui è sottoposto il pancreas, e obesità, per l’accumulo di tessuto adiposo.

Per quanto riguarda la digeribilità della pizza, fondamentale è la durata della lievitazione ed è utile sottolineare che è determinata in massima parte dalle proteine che formano il glutine. Infatti, il glutine consiste in un complesso proteico, un mix di gliadine e glutenine che, con peso molecolare diverso, così come diversa è la loro struttura (lineare o ramificata), si srotolano e in presenza di molecole d’acqua danno luogo a molteplici legami di idrogeno di tipo temporaneo. In più, si aggrovigliano creando legami fisici, detti entanglements, che generano una rete glutinica continua. Questo processo è importante perché dona all’impasto morbidezza ed elasticità, indispensabili per la pizza napoletana, però, al contempo, lo rende meno digeribile. Ecco spiegato perché sono da preferire tempi di lievitazione più lunghi, come nel nostro caso 14/16 ore in relazione alla forza della farina W (280/300), dimodoché gli enzimi che partecipano alla crescita del panetto consumano parzialmente la maglia glutinica coadiuvando il nostro sistema digestivo a smaltirla.

Dal punto di vista tecnico, infine, la normativa italiana con il DPR n.187 art. 2 del 2001 suddivide le farine di grano tenero in relazione al contenuto di ceneri su cento parti di sostanza secca:

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Impastare solo con la farina integrale significherebbe ottenere una pasta pesante con il rapporto acqua/farina che non rispetta la proporzione 1 lt/1,7-1,8 kg per via della diversa capacità di assorbimento della farina stessa.
La tradizione ci obbligherebbe a essere integralisti, ma ben venga pure l’integrale purché dosata con moderazione e mescolata alla raffinata 00.