Pizza Capodimonte: con i due Vincenzo arte al quadrato

di Lina Malafronte

In quell’intricatissimo patchwork che è Napoli, tanti pezzi diversi sono cuciti insieme facendola oscillare perennemente tra il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il giusto e l’ingiusto, lo sviluppo e il degrado, e rendendola tanto amabile quanto detestabile.

Tra le sue innumerevoli “stoffe”, ce ne sono due alquanto preziose. Glorie e vanto per i napoletani, l’arte e il cibo rapiscono con la loro ricchezza e la loro complessità facendo ignorare, seppur brevemente, lo iato tra le due facce della città. Lo sa bene Enzo Coccia che, nel mentre si interessava all’intimo legame che vi sussiste, decideva di affiancare gli Amici di Capodimonte nella raccolta fondi per l’allestimento, nell’omonimo Museo, delle opere di Vincenzo Gemito, con la creazione di una pizza che della pinacoteca porta il nome.

Ed ecco che a pochi giorni dal via del Maggio dei Monumenti, La Notizia fa un primo bilancio dell’iniziativa organizzata dall’associazione volontaria che dal 2005, anno della sua costituzione, sostiene e promuove, attraverso una serie di attività, gli edifici del Polo Museale Napoletano. Perché da meno di due mesi chi ordina la pizza Capodimonte, con provola di bufala, pomodori San Marzano a pacchetelle, salsiccia di bufala, pecorino romano dop, olio extravergine d’oliva dop, basilico e pepe, devolve un euro per l’esposizione dell’intera collezione d’o scultore pazzo. In così poco tempo, si è già raggiunta la cifra di € 500,00 da destinare al progetto.

Disegni, bozzetti, sculture in bronzo e terracotta: oltre 350 lavori del creativo ottocentesco, rinvenuti nel salotto di casa dell’ingegnere Achille Minozzi, suo amico, cambiano dimora per occupare le sale al primo piano della costruzione regale. In cantiere c’è anche il ripristino dell’originale boiserie, disegnata dall’artista stesso, che rivestiva le pareti della stanza dove i suoi capolavori furono custoditi. A tal proposito, decisive saranno le indicazioni fornite dalle pagine che a Gemito e all’organizzazione di quelle produzioni Salvatore Di Giacomo dedicò.

Con la sua irrequietezza e il desiderio irrefrenabile di rappresentare la realtà senza filtri né mascheramenti, il talentuoso autodidatta, figlio di nessuno, riuscì a magnetizzare l’interesse del “poeta senz’altro” – così lo definì Croce – e di altri suoi contemporanei, come Gabriele D’Annunzio e Alberto Savinio, che ne raccontarono la vita. E a Gemito, che non mancava di sottolineare quale dolore quel cognome portasse con sé, si indirizzarono alcuni dei più importanti personaggi dell’epoca. Ma lui restituì, sopra ogni altra cosa, i gemiti della sua Napoli in una raccolta di straordinario valore, assolutamente da vedere.

Allora perché percorrere migliaia di chilometri per visitare il Louvre e altre famose gallerie sparse qua e là nel mondo se il Museo di Capodimonte, non secondo né al parigino né tantomeno agli altri, eppure sconosciuto ai più, campani inclusi, espone una miriade di bellezze che fanno spalancare gli occhi e mozzano il fiato? Non ci resta che avvicinarci ai due Vincenzo e godere appieno della grandezza della loro arte.