La pizza napoletana custodita “a libretto”: un libro da tenere sempre a portata d’occhio

di Lina Malafronte
Hanno inondato gli spazi della particolarissima Sala Cinese della Reggia di Portici  l’entusiasmo e il susseguirsi di applausi che hanno salutato, lo scorso 30 maggio, la presentazione, introdotta dalla giornalista Donatella Bernabò Silorata, de “La Pizza Napoletana…più di una Notizia scientifica sul processo di lavorazione artigianale”, il primo libro, dal taglio decisamente scientifico, che sia mai stato dedicato alla pizza napoletana.

L’opera – il titolo lo lascia intuire – è stata voluta da Enzo Coccia, redatta in sinergia con il Prof. Paolo Masi, Ordinario di Ingegneria dei Processi Alimentari presso l’Università di Napoli Federico II, e la Dott.ssa Annalisa Romano, Manager del CAISIAL (Centro per l’Innovazione e lo Sviluppo in Campo Alimentare) del medesimo Ateneo, ed è frutto delle domande, delle perplessità, della curiosità e del desiderio di capire appieno tutto ciò che sta dietro e si accompagna alla preparazione di una pietanza che, semplice solo in apparenza, è un autentico <<capolavoro della gastronomia e dell’arte del vivere popolare>> che, nel tempo, è diventato <<l’emblema del Belpaese e in particolare di quel doppio concentrato d’italianità che è Napoli>>.

Così l’ha definita l’antropologo Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli, delle arti e della performance, Miti e riti della gastronomia contemporanea, che ha curato la prefazione del volume, nato dal fortuito incontro, a un convegno sugli oli, tra il pizzaiuolo e i due studiosi e pubblicato, dopo due anni di gestazione, in italiano e in inglese, da Doppiavoce Edizioni.

E’ un testo che deve la sua ricchezza a uno straordinario lavoro di ricerca e che, volendo istituire un paragone, come un paleontologo scava nelle rocce che nascondono e custodiscono i fossili, esplora a fondo tutti i fenomeni che interessano la pizza, dando risposta a una serie di quesiti che sino a oggi erano stati affrontati in maniera superficiale e approssimativa o che avevano trovato soluzioni poco serie e per niente soddisfacenti, dando vita a leggende popolari.

Qualche esempio? <<Cosa accade se l’impasto lavora più del dovuto in un’impastatrice e si surriscalda? Che succede se si usa l’acqua calda per impastare oppure se si utilizza un impasto ad una temperatura di 4° C e lo si va a cuocere in un forno a 450° C?>>. Questi alcuni degli interrogativi che affollavano la mente di Enzo e che sono confluiti in un bagaglio molto ricco di nozioni scientifiche, elementi e temi a disposizione di chiunque, ha spiegato il maestro, professi un amore smisurato per la pizza napoletana e per la sua terra. Perché <<La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve>>. Così, quelle 172 pagine, corredate da un’interessante scelta di foto, realizzate da Mario Ferrara, e figure, molte al microscopio, si rivolgono tanto agli addetti ai lavori quanto ai pizza lovers. Un discorso che, a maggior ragione, deve interessare chi, al di fuori dei luoghi in cui il piatto partenopeo ha avuto origine, intende studiarlo in tutti i suoi aspetti e apprendere la difficile arte del pizzaiolo. E veramente originale, e in questo si discosta dalle altre produzioni scritte, è la presenza di una guida illustrata alla risoluzione dei problemi che, organizzata in schede e proponendo dei correttivi, ha l’obiettivo di aiutare l’artigiano a riconoscere e a risolvere gli errori commessi durante la lavorazione.

Nella coinvolgente tessitura di argomenti, la vera sfida, precisano gli autori, non è stata di sostituirsi, men che meno azzerare, l’esperienza di chi a quest’arte si è approcciato già da tempo. Al contrario, affiancando la pratica, si è cercato di indagare e raccontare, in modo approfondito e rigoroso, eppure con un lessico quanto più vicino ai lettori, come a ogni fase del processo di lavorazione della pizza napoletana e a ogni ingrediente impiegato per realizzarla corrisponde un insieme di parametri e di variabili che potrebbero influire sulla riuscita del prodotto finale.

Quante volte abbiamo sentito dire “così si fa”… perché i padri, e prima di loro i nonni facevano una certa operazione piuttosto che un’altra, determinati movimenti e non altri. E’ giunta l’ora di uscire da quella sorta di oscurantismo dettato dall’attaccamento pedissequo alla tradizione e a quel corpus di credenze e di azioni tramandato nei secoli. Una conclusione ovvia? Non direi. Perché non esistono conclusioni, ha osservato Santa Di Salvo nell’epilogo dell’incontro, su un cibo tanto complesso e con una tale carica evocativa che basta una sola immagine, come le tante che impreziosiscono lo scritto, per richiamare tutto uno straordinario mondo.

<<Quando Napoli parla di pizza – ha detto la giornalista – non parla solo del suo passato, ma del suo futuro>>.

E scriviamolo anche noi questo futuro.

Buona lettura!