I tre moschettieri del buono

di Enzo Coccia

L’uomo ha sempre viaggiato e cercato di impiegare il proprio tempo libero per evadere dallo spazio quotidiano, dirigendosi verso luoghi più o meno lontani.

Sebbene oggi possa sembrare quasi scontata la definizione che l’Organizzazione Mondiale del Turismo dà del turista, visto come chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del proprio ambiente, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno, per i motivi più vari dallo svago al riposo e alla vacanza, per visitare amici e parenti, per affari o per studio, per pellegrinaggi o per sport, almeno fino alla prima guerra mondiale, però, la fruizione turistica è stata un privilegio delle sole famiglie aristocratiche, mentre la stragrande maggioranza della popolazione non disponeva né di momenti da dedicare alla ricreazione né di risorse economiche per potersi spostare.

Poi l’industrializzazione cominciò a scrivere un nuovo capitolo nella storia dell’umanità e da elitario il turismo iniziò, a poco a poco, ad assumere i moderni caratteri del fenomeno di massa. E con esso si fecero strada anche le tendenze a omologare le scelte e i comportamenti dei viaggiatori. Da e contro queste spinte, tuttavia, sono progressivamente venute fuori altre tipologie turistiche e centrale, tra esse, è il ruolo attribuito al comparto enogastronomico.

Il turismo enogastronomico, quale segmento specifico del turismo, è un’integrazione tra cibo, vino, territorio e viaggio, in cui la ristorazione diventa il fulcro di tutto il sistema e la motivazione fondamentale, spesso esclusiva, dello spostamento.

Quando si va in giro alla scoperta di luoghi unici bisogna stare molto attenti a non imbattersi in ristoranti che inflazionano il concetto di tipico pur non avendo nessuna conoscenza della tradizione culinaria del posto e dei suoi alimenti. Cucina tipica, cucina casareccia, cucina locale ne sono degli esempi. Sono da preferirsi, all’opposto, locali, siano essi ristoranti, osterie, trattorie o locande, che puntano su un’offerta vera e completa di un menu ricco di ricette che impiegano i prodotti del territorio e che possono essere di tradizione o anche di innovazione, reinterpretate in chiave moderna e creativa.

A questa seconda categoria appartengono quei ristoratori che, grazie alla loro cucina, riescono a valorizzare e a far conoscere la zona dove risiedono al mondo intero.

Mi ha fatto molto riflettere la storia di tre persone e di altrettanti territori uniti da un unico filo conduttore: offrire ai propri ospiti il meglio della propria terra.

Primo fra questi il Troisgros, un ristorante situato a Roanne, a più di trecento km da Parigi. L’unico motivo che spinge a recarsi in questa poco conosciuta cittadina di provincia sembra essere quello di voler visitare l’unico locale al mondo che può vantare dal lontano 1968, senza mai averle perse, tre stelle Michelin e godere la campagna circostante. Chi si reca alla Maison Troisgros vi passa almeno una notte con colazione, pranzo e cena e nel frattempo vive la giornata in pace nel paese, creando indotto.

Spostandosi in Spagna, invece, a nord, vicino San Sebastian, c’è Elkano. Da Getaria, piccolo villaggio di pescatori con poco più di 2000 abitanti, il ristorante è conosciuto praticamente ovunque per il rombo alla griglia, una particolare tecnica di cottura messa a punto dallo chef Pedro Arregui (o rombo pescato a luna piena). Il figlio di Pedro Arregui mi raccontava addirittura che se si pesca con la luna piena il pesce acquista più sapore in quanto deve nuotare più in basso o più in alto.

Ritornando dalle nostre parti, in Penisola Sorrentina Don Alfonso è un’altra chiara prova di come una località sia stata resa nota e sviluppata dal forte potere di un ristorante che ha fatto da traino. A Sant’Agata sui Due Golfi, modesta frazione del comune di Massa Lubrense (3000 anime), Alfonso Iaccarino con indubbia ingegnosità impiega i prodotti agricoli per realizzare le sue creazioni. Negli anni ʼ70, muovendosi in controtendenza con la moda delle tagliatelle paglia e fieno, del risotto allo Champagne, del cocktail di gamberi, lo chef Alfonso proponeva i famosi paccheri di Gragnano con pomodoro San Marzano, il sartù di riso, le melanzane, gli asparagi e altre verdure solo se di stagione, il pescato del mare che bagna quel favoloso tratto di costa, le albicocche del Vesuvio, il dolce di Sorrento. Insomma, le gemme di madre natura portate in tavola anche nelle ricette più creative senza stravolgere i sapori e facendo, così, conoscere a tutti la costiera.

E se piccole realtà imprenditoriali diventano il motore di un territorio – e persino di un’intera regione – inducendo i turisti ad accostarsi non solo a nuove realtà di gusto, ma a realtà storiche, ambientali, culturali, artistiche e architettoniche che impreziosiscono l’esperienza del viaggiare, ci sono tutti gli spunti per pensare alla nostra situazione economica. Non ho dubbi sul fatto che l’Italia possa uscire dalla crisi in cui si trova facendo leva sul turismo e sulle specificità che, in un panorama mondiale sempre più piatto, la rendono una grande calamita capace di attirare l’interesse dei turisti/viaggiatori.